Ricominciare

Ricominciare è forse la mia parola preferita.

Sì, ma da dove si ricomincia?

L’ultima volta che ho scritto un pensiero profondo qui sul blog era maggio. Oggi è il 12 ottobre e qualcosa, nel frattempo, è successo.

Settembre è il mio mese. Non solo perché festeggio il compleanno (quest’anno ho spento 28 candeline, crisi di panico come sempre per via dell’orologio biologico che scorre inarrestabile mentre io c’ho sempre quella sensazione di rimare impantanata), ma anche perché settembre è il mese dei progetti. Anche se in autunno le foglie cadono e tutto muore, io mi sento molto più propositiva ed energica. Tant’è che sto qui, con un sacco di idee in testa. (E poi non sono una foglia)

Settembre mi ha dato anche l’occasione di fare il PUNTO DELLA SITUA. A giugno ho finito gli esami della magistrale, un percorso lungo e tortuoso ma bellissimo. Al netto di tutti gli scleri, ho avuto sempre la sensazione di arricchimento, di essere nel posto giusto, e che niente fosse sprecato. A onor del vero, all’appello manca l’esame di inglese, quell’idoneità bastarda da 3 cfu. Ma ci stiamo lavorando. NO PANICO!

Spero di avere ancora il tempo di studiare alcune delle materie che ho scoperto durante la magistrale, in modo particolare IL MONDO DELLA SEMIOTICA. Lo so, fa un po’ saputella metterlo nero su bianco, ma vi giuro che non è così brutta come si pensa. Ma andiamo avanti.

Cosa importante: ho smesso di andare dalla psicologa. L’ultima volta che ci sono stata era maggio, forse in coincidenza con l’ultimo pensiero profondo. Non ci vado più per un semplice motivo. Sentivo un’etichetta appiccicata sulla fronte, come se fossi diventata quel problema e la mia identità si fosse annullata. Sicuramente gli incontri con la psicologa sono serviti a indagare una parte della mia infanzia e altri comportamenti che metto in atto adesso, ma ero diventata solo quello. Ero fatta di ansia, e avevo l’ansia di parlare della mia ansia. Adesso qualcun* di voi dirà: “Ma così nascondi la polvere sotto il tappeto!” Sì, può darsi. Fatto sta che, nascondendo questa polvere, io sto decisamente meglio. C’è stato qualche episodio di attacco d’ansia forte (come fuggire non appena arrivata davanti a un ristorante perché troppo lontano da casa), però i crampi allo stomaco non li ho più.

Ho iniziato a stare meglio da giugno, quando, dopo più di due anni, sono tornata all’università per dare l’ultimo esame scritto. Scritto. Avete capito bene. Per voi sarà una banalità, ma per me, che non riuscivo a stare ferma in un punto per troppo tempo senza sentire i crampi allo stomaco, è stata una prova decisiva. Ed è andata benone! Un’altra piccola sfida che ho portato a casa.

A giugno poi è successa un’altra cosa bella. Ogni pomeriggio, dal 2 giugno, sono la babysitter di un bambino di dieci anni. Lui non lo sa ma mi sta aiutando tantissimo a riabituarmi ai tempi delle altre persone. Giochiamo, facciamo i compiti, mi racconta dei suoi amici e di quello che impara a scuola. E io lo ascolto. Respiro e ascolto. E sto ferma sulla sedia accanto a lui.

Ma arriviamo a oggi. Che cosa frulla nella mia testolina? Di tutto, ma soprattutto LISTE DI COSE.

Ho comprato un taccuino a righe che ho diviso per progetti: di vita, di formazione e di creazione. Tutte le mie idee stanno lì dentro, con Leo che fa la guardia. C’è anche la LISTA DI TUTTO, dove appunto davvero la qualunque.

Piccoli spoiler:

  • Domani esce la recensione di Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli
  • Forse potrei aver pensato di scrivere una newsletter monotematica (non si sa da quando ancora)
  • Rubrica mensile di recap di letture e acquisti librosi su Instagram
  • Spazio ai progetti di altre persone

Raga, la roba è tantissima ma io sono carica a pallettoni. Vediamo che cosa ne uscirà!

Grazie per aver letto fino qui!

Se vuoi raccontarmi qualcosa di te puoi scrivermi in DM qui @unacosapiccolamabuona. Ti ascolto/ti leggo con tantissimissimo piacere!

Per tutte le volte che mi vedi strana

Ieri, mentre stavo tornando a casa e guidavo la mia seicento che da un giorno all’altro mi lascerà a piedi, ho sentito che era arrivato il momento di scrivere di questa cosa qui, per tutte le volte che mi vedi strana.

Perché sì, spesso, da un po’ di tempo, in precisi momenti io divento strana. Mi assento. Sparisco.
Non sento più niente. Cioè, in verità sento, ma non le voci degli altri. Sento solo il mio corpo e la vocina nella testa che dice: “Stai per sentirti male. Devi scappare subito.”

Ci sono dei momenti precisi in cui questa cosa si presenta e mi scollega la mente dal corpo.
Mi proietto in avanti, nel futuro, e tanti saluti al qui e ora. Potrebbe succedere di tutto: un’esplosione, un cane che sbuca fuori dai cespugli all’improvviso mentre sono a passeggiare, il terrazzo che cede (giuro che non scherzo).
Giusto per non farmi mancare niente ho appeso un planisfero alle pareti della mia camera, proprio vicino al letto. Da quando è lì vivo nel terrore che il chiodo possa cedere e che il planisfero cada a terra facendo un tonfo fortissimo.

Ho il terrore dei rumori forti e improvvisi. All’età di 28 anni sto ancora lontana dai palloncini e mi tappo le orecchie a ogni spumante da stappare.
A volte mi paragono a zia Josephine, il ruolo interpretato da Meryl Streep nel film Una serie di sfortunati eventi. Non sono proprio a quei livelli ma poco ci manca.

zia Josephine, mio alterego

Di questo mio malessere io accuso soprattutto la pandemia, ma in realtà non so quanta responsabilità in percentuale abbia e quanto in verità sia io a non voler vedere altri fattori.

Nella mia mente, il periodo di pandemia ha spento il tempo.
Il tempo è diventato infinito. Non c’era più bisogno di controllare né di pianificare perché tutto era in dubbio. Sempre.

Quando però abbiamo ricominciato a uscire, ad avere vita sociale, io non sono stata più capace a starci in quel tempo. Non so più aspettare. Non so ascoltare. Non so stare ferma per tanto tempo. Adesso non potrei prendere un bus, né stare ferma seduta a lezione all’università come facevo prima.  

Mi sono accorta di soffrire di questa cosa quando ho ricominciato con le ripetizioni. Entravo nelle case degli altri e dopo dieci minuti dovevo scappare.
La prima volta non l’ho capito. Ha cominciato a farmi male la pancia e ho accampato una scusa e me ne sono andata. Poi è successo di nuovo, e ancora e ancora. Con persone diverse, con le mie amiche, con Gianluca, a casa mia. Quindi sono giunta alla conclusione che la cosa che mi causa questa cosa è la gestione del tempo. Io vorrei velocizzare e controllare i minuti ma non posso. Devo stare nel presente e abbassare lo stato di allarme costante in cui mi ritrovo a vivere da mesi.

La cosa assurda è che io vivo tutto questo non quando sono in contesti con tante persone (conclusione logica dato che veniamo da una pandemia) ma, al contrario, proprio nella tranquillità.
Per stare ferma a parlare con le mie amiche mi ci vogliono almeno venti minuti per ambientarmi, capire le vie di fuga, pur essendo in casa loro, un posto che frequento da quasi trent’anni e dove mi sono sempre sentita al sicuro.

Quando questa cosa si fa pesante e non riesco più a tenerla nascosta, allora sono costretta a dire tutto a voce alta, avvisare che è un periodo un po’ così ma non fateci caso, passa. E invece non passa. E sento una scarica di adrenalina fortissima che mi costringe a piangere. Scarico la tensione e tutto torna tranquillo. Ma devo essere al sicuro, con persone che mi conoscono e che sanno di questa cosa che ancora non sono riuscita a definire. Non so se siano attacchi di panico, attacchi d’ansia. Non lo so.
Io so solo che in quei momenti vorrei aria, camminare e non ascoltare più.

Quando mi prende molto forte devo contare. Conto i secondi, le bottiglie sulle mensole e tutto quello che mi capita a tiro. Altra cosa che mi aiuta è ascoltare le persone in un modo particolare. Immagino le parole che escono dalla loro bocca, come un fumetto, e io devo leggere anziché ascoltare. Quindi mi concentro sulle parole e sento che l’ansia – la cosa – cala e torno in me. A volte mi basta muovermi sulla sedia e sentirmi: sentire che io sento il mio corpo e che posso controllarlo.

Se dico di questa cosa a più persone sto meglio. Senza scendere nei dettagli, ma solo anticipando.
Sì, potrei diventare strana ma abbi pazienza che torno in me e ti ascolto. Dammi almeno venti minuti di bonus e ci sono.
Adesso, per tutte le volte che mi vedi strana, sai il motivo.

P.s. la seicento mi ha lasciata a piedi davvero

Una (anzi di più) cosa piccola ma buona del 2021

Il 2021 è stato un anno luuuuunghissimo. Non vedevo l’ora che finisse.

Ho l’impressione di aver ricominciato a vivere da giugno, con l’arrivo dell’estate. I primi mesi invece sono stati un continuo cambio di colore tra rosso, arancione e giallo.
Posso venire da te? Ma si può andare a camminare? Un casino.

Tralasciamo poi il fatto che ho un buco temporale atroce nella testa. Per me il 2020 non è mai esistito.

Era ottobre 2019 quando cominciavo la magistrale super contenta e ora siamo quasi nel 2022 e in mezzo c’è stata – c’è ancora in realtà – una pandemia. Assurdo.

Il 2021 è stato un anno sì lunghissimo e difficile, ma è stato anche un anno di consapevolezze e di grandi pensieri profondi che ho deciso di raccontare qui. Il tutto sarà accompagnato dai best moments dell’anno.

  • Cura: da circa un mese ho iniziato ad andare dalla psicologa e questa cosa mi dà un sacco di felicità e di soddisfazione. Ho sempre avuto la convinzione e la paura di essere un peso per le altre persone e questo mi ha portato per tanti anni a non confidarmi e a non avere fiducia negli altri. Il fatto che ci sia una nuova persona nella mia vita che sta imparando a conoscermi e che mi ascolta mi rimette in pace con il mondo. A volte fa male scavare, trovare dei collegamenti, analizzare dei brutti fatti che mi sono accaduti. Ma è giusto che li affronti, che metta insieme i cocci. Non lo faccio solo per me ma anche per le persone che mi circondano.
Io e Gianlu in Puglia
  • Leggere: un conto è leggere, un conto è leggere bene. Sto imparando ad andare più a fondo, a spezzettare un libro. Lascio sedimentare e cerco di ritrovarmi in quello che leggo, che è il motivo per cui leggo. Leggere mi serve per riempire i vuoti e per riconoscermi.
Giorgi su un letto di stelle
  • Famiglia: la famiglia è importante, anche se spesso non è quella in cui cresci ma quella che ti crei nel tempo. Ci vuole tanto impegno nel costruire e mantenere relazioni sane. Bisogna anche imparare a lasciar andare, a farsene una ragione. Alcune persone non cambiano, ma puoi cambiare tu.
Dile, Marghe e io al matrimonio di Marghe
  • Scrivere: tenere un diario, appuntare i pensieri profondi e provare a sciogliere i nodi mi resta più semplice se lo faccio in forma scritta. Ho un quadernino dove spesso scrivo cose, ormai dal 1 gennaio 2019. Non scrivo tutti i giorni, ma scrivo. Scrivo dei libri che leggo, delle sedute con la psy. Tante cose.
Torta di compleanno di Dile
  • Formazione: gli ultimi mesi dell’anno sono stati indirizzati soprattutto alla formazione. Oltre a studiare per gli esami dell’università, ho seguito due corsi: uno organizzato dalla casa editrice MarcosyMarcos e uno da Langue & Parole. Mi piace il mondo dei libri e dell’editoria. Voglio approfondire, imparare cose nuove, investire su di me.
Gianlu e Leo
  • L’università non è un fine ma un mezzo!“: questa frase me l’ha detta Gianlu durante una delle mie solite crisi in cui mi chiedo che cavolo fare da grande. Da quel momento, ogni volta che non ho voglia di studiare per un esame o mi dimentico il perché di una magistrale in comunicazione, mi ricordo di quella frase e ho subito la voglia di andare avanti per scoprire che cosa potrò fare dopo. Anche perché un dopo ci sarà eh.
Sara e Giorgi
  • Respirare: non devo per forza riempire ogni momento. Bisogna che impari a stare nel silenzio e ad annoiarmi. Ma non voglio farlo. Non voglio rallentare, perché se mi fermo e mi ascolto, quello che sento mi fa male, e mi costringe a pensare e a scontrarmi con episodi che credevo archiviati per sempre. Ma mi devo sforzare, quantomeno provare. Devo respirare.
Io pazza che vado a giocare a tennis e rischio l’infarto
  • Non distruggere: tante volte ho detto di non meritare del bene o di non credere che qualcosa di bello potesse accadere davvero a me. Non mi è mai sembrato possibile che una persona potesse volere del bene proprio a me, o che credesse davvero nelle mie capacità. E visto che per me non poteva essere possibile, distruggevo tutto per cercare le conferme di quella impossibilità.
    Però, forse – e lo dico sottovoce perché ancora non ci credo tantissimo – se delle persone mi vogliono bene e credono in me, forse qualcosa di bello ce l’ho.
    Forse, dovrei essere io a volermi più bene. Ma ne riparliamo nel 2022.
Giova, Gianlu e io a Castel del Monte

Asticella in linea col mondo

[Ogni volta che inizio a scrivere qui devo pensare che sto scrivendo per me e che di là da questo schermo non c’è niente. Tanto, come si dice, i blog non li legge più nessuno, e questo mi rincuora. Sono strana, lo so. Potrei scrivere sul diario di carta e invece sto qui.]

Oggi è un mese che non scrivo sul blog e in trentuno giorni siamo scampati all’ennesima fine del mondo, pronosticata dai Maya per il 21 giugno scorso.

Ebbene sì, potevamo non essere qui, e invece è andato tutto liscio.

Torno perché avevo bisogno di scrivere un pensiero profondo, o forse banale, decidete voi.

In attesa della fine del mondo mi sono ritrovata a pormi di nuovo una domanda che mi spaventa sempre un sacco:

se morissi adesso, sarei soddisfatta della vita che ho vissuto?

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Nodi: istruzioni per l’uso

Facciamo finta che questo sia il foglio illustrativo dei medicinali. Oppure un libretto delle istruzioni per montare la lavatrice.

Durante queste settimane di chiusura forzata all’interno delle mura domestiche – con coinquilini obbligati – sarà capitato più o meno a tutti di ricalcolare il percorso e magari di cambiare direzione.

Una specie di orienteering. Come alle scuole elementari, quando la maestra ti metteva in mano una bussola e una mappa e ti diceva:

Toh! Vai a cercare il tesoro. Ma non ti perdere!

Scrivo questo bugiardino per mettere nero su bianco quello che di buono ho tratto da questa quarantena. Perché, nonostante tutto, mi ha lasciato davvero qualcosa di buono.

Qualche sera fa ho avuto un PENSIERO PROFONDO.

Non ridete ché vi sento!

Quando capita fisso per un attimo il vuoto, faccio un sospiro e strattono Gianluca. “Oh, ho avuto un pensiero profondo. Lo vuoi sapere?”
E allora glielo spiego.

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