Zio Davide, il maker della famiglia

A maggio ho letto La Società dei Makers di David Gauntlett, un sociologo e teorico dei media che da anni si occupa dei cosiddetti makers, i creatori. Ma chi sono in realtà?

I makers sono tutti coloro che decidono di dedicarsi con passione e costanza alla creazione di un qualcosa, o partendo da zero, o ricucendo insieme dei pezzi. I makers sono tutti coloro che preferiscono il fai da te, l’arte del recupero e del riciclo, all’acquisto asettico e fine a se stesso.

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Anno 2010

Stanotte ho avuto un incubo.

Sono ripiombata negli anni del liceo, quando nel 2010 smisi di andare a scuola perché stavo male.

Nel sogno è il 2020. Ci sono le mie amiche Dile e Marghe e tutti gli altri compagni del liceo. E c’è anche il coronavirus. Nel sogno è il primo giorno di scuola (non università) dopo i mesi di stop e di lezioni a distanza.

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Asticella in linea col mondo

[Ogni volta che inizio a scrivere qui devo pensare che sto scrivendo per me e che di là da questo schermo non c’è niente. Tanto, come si dice, i blog non li legge più nessuno, e questo mi rincuora. Sono strana, lo so. Potrei scrivere sul diario di carta e invece sto qui.]

Oggi è un mese che non scrivo sul blog e in trentuno giorni siamo scampati all’ennesima fine del mondo, pronosticata dai Maya per il 21 giugno scorso.

Ebbene sì, potevamo non essere qui, e invece è andato tutto liscio.

Torno perché avevo bisogno di scrivere un pensiero profondo, o forse banale, decidete voi.

In attesa della fine del mondo mi sono ritrovata a pormi di nuovo una domanda che mi spaventa sempre un sacco:

se morissi adesso, sarei soddisfatta della vita che ho vissuto?

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Nodi: istruzioni per l’uso

Facciamo finta che questo sia il foglio illustrativo dei medicinali. Oppure un libretto delle istruzioni per montare la lavatrice.

Durante queste settimane di chiusura forzata all’interno delle mura domestiche – con coinquilini obbligati – sarà capitato più o meno a tutti di ricalcolare il percorso e magari di cambiare direzione.

Una specie di orienteering. Come alle scuole elementari, quando la maestra ti metteva in mano una bussola e una mappa e ti diceva:

Toh! Vai a cercare il tesoro. Ma non ti perdere!

Scrivo questo bugiardino per mettere nero su bianco quello che di buono ho tratto da questa quarantena. Perché, nonostante tutto, mi ha lasciato davvero qualcosa di buono.

Qualche sera fa ho avuto un PENSIERO PROFONDO.

Non ridete ché vi sento!

Quando capita fisso per un attimo il vuoto, faccio un sospiro e strattono Gianluca. “Oh, ho avuto un pensiero profondo. Lo vuoi sapere?”
E allora glielo spiego.

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4321, Paul Auster

Ho iniziato a leggere 4321 tre giorni dopo il compleanno di mio nonno e ho terminato la lettura comprando il regalo di compleanno per mio padre. Complessivamente, 4321 mi ha accompagnata per circa cinque mesi, facendo capolino durante tristi periodi e prendendo piede nei giorni di vacanza.

Leggere 4321 è stata una sfida. Non mi ero mai avvicinata a Paul Auster.

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Perché ti piace leggere?

Per chi mi conosce bene sa che sin da quando ero una bambina i libri hanno avuto sempre un ruolo fondamentale nella mia vita. Ricordo che quando abitavamo tutti nella casa a Monteguidi, nel corridoio che porta alle camere c’era un grande armadio bianco che conteneva un po’ di cianfrusaglie,

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Doposkuola, quello con la K

Seicentodieci giorni. Seicentodieci giorni. 

In matematica non sono mai stata formidabile, ma se la calcolatrice non mi inganna ho passato SEICENTODIECI giorni della mia vita dentro il Doposkuola.
La K è nel posto giusto, non è un errore di battitura. Esiste davvero un doposcuola con la K.

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Una cosa piccola ma buona al giorno: 6 gennaio 2019

Mi è sempre piaciuta la tavola apparecchiata per le feste, in rosso.

Sotto le feste la casa a Monteguidi si riempiva di gente: sorelle di nonno, zii e cugini. Non necessariamente per mangiare insieme, ma anche soltanto per consegnare un pensiero e per scambiarsi i migliori auguri.

Si allargava il tavolo di cucina, si stendeva la tovaglia rossa con i ricami in bianco e si posizionava il servito buono, quello per le feste: piatti e piattini, bicchieri e forchettine da dolce che durante l’anno avevano riposato nel mobile di cucina. 
Non avevamo un segnaposto con il nostro nome stampato sopra perché tutti sapevamo quale fosse il nostro posto, la nostra sedia e il nostro vicino: noi piccini vicino al fuoco, i grandi vicino ai fornelli.

La mattina del 25 dicembre Sara, Dario ed io indossavamo i vestiti nuovi e andavamo alla Messa dove puntualmente la gente di paese ci chiedeva che cosa nonna avrebbe cucinato di buono.

Nonno mi guardava seduto dalla sua postazione capotavola e mi chiedeva sempre se stessi mangiando perché non ero mai vicino a lui. Ovviamente sì, stavo mangiando, e parecchio!

Con gli anni sono cambiate le tavole e con loro i vari commensali. Si continua a brindare facendo incontrare tra loro i bicchieri di spumante, ben attenti a non batterli tra loro. Si ride e si raccontano storie passate. Si fanno progetti: un viaggio, un nuovo lavoro. Si spera di condividere ancora una volta tutti insieme quella tavola, memorizzando, con l’aiuto di un segnaposto, la nostra nuova postazione.

Una cosa piccola ma buona al giorno: 3 gennaio 2019

Secondo Wikipedia, nel 2011 a Monteguidi eravamo in centoquarantaquattro.

Ci possiamo contare sulla dita delle mani. Siamo persone che si stringono l’un l’altra, soprattutto nei momenti di dolore. La casa che si riempie di voci che ti augurano di stare bene e che tutto andrà meglio appena ti sarai ripreso.
Io abitavo al numero 1, convinta di essere il primo cittadino di Monteguidi. 

Casa dei miei nonni, Monteguidi

Quando ero una bambina – e poi un’adolescente – spesso rimproveravo ai miei genitori di non aver scelto un posto migliore dove abitare, un posto più vicino al cinema e ai miei amici.
Ho letteralmente odiato quelle cento case che mi isolavano da tutto e non nego di aver sentito un pizzico di felicità quando cinque anni fa metà della famiglia si è spostata da un’altra parte. Ingenuamente ho creduto che quella fosse la scelta giusta per tutti e che in un modo o nell’altro mi sarei affezionata anche alla nuova casa, se non di più.
A volte fa un po’ male tornare nei luoghi in cui tutto è cominciato e poi finito, ma ci fai l’abitudine e ti convinci che tutto quello che è successo fosse inevitabile. Doveva andare così.


L’aspetto positivo, la cosa piccola ma buona, è che cerchi ogni volta di accantonare il presente un poco buio per ritrovare la luce dei vecchi ricordi.

Quando in quella casa si è mangiato in dieci intorno ad una tavola; quando nonno tornava con i secchi di legna; quando nonna cuciva in quella terrazza guardando la gente che passava; quando mi nascondevo dietro la porta di cucina per spaventare nonno; quando un anno Pasqua cadde il giorno del compleanno di Sara e noi piccini, soprattutto Sara, eravamo felici il doppio; quando nonno guardava i film di cowboy mangiando le noci o i lupini davanti al fuoco; quando alla domanda come va, nonno rispondeva sempre tutto okay anche se forse tutto okay non era.

Ora aspetto la primavera per rivedere nonna seduta in terrazza a cucire, a guardare la gente che passa e a curare i fiori.
Adesso ogni volta che vado a Monteguidi scatto una fotografia al paese da una curva lontana.
Le stagioni se ne vanno via velocemente ma le persone restano ed è sempre un piacere contarci.