Sono una donna di 28 anni, cresciuta in un ambiente in cui se sei donna devi saper fare le cose di casa, rendere felice il tuo futuro marito (felicità che comporta il mio saper stirare le sue camicie, il mio essere inventiva in cucina nel preparare qualcosa di buono e di diverso ogni giorno), e devi lasciare per prima perché se vieni lasciata spesso (e la voce gira) non ti prende più nessuno.
La mia conoscenza dell’amore e delle relazioni è iniziata quando avevo quattordici anni, e da quel momento non sono mai stata da sola. Non lo dico per alludere alla fila di corteggiatori; lo dico perché, riflettendoci, io decidevo di stare con una persona perché non sapevo stare sola: avevo bisogno di una funzione, di un ruolo, che di solito era di cura.
Poi, fisiologicamente, arrivava la noia, di solito dopo un anno/un anno e mezzo. Ricercavo le prime sensazioni, le farfalle nello stomaco, la voglia di stare insieme ininterrottamente. L’ho capito negli anni che quella fase, la fase dell’innamoramento, finisce e ne subentra un’altra, ovvero la fase dell’amore. E’ in quel momento che si decide di restare, di capire, di sviscerare i sentimenti e i pensieri e di andare avanti. Sempre se, dall’altra parte, c’è la stessa voglia. Insomma, se ne vale la pena.
Oggi ho 28 anni e da più di sei sono impegnata con una persona. Avere 28 anni comporta, nel mio caso, fare i conti con domande impertinenti, pressione sociale, orologio biologico che costantemente mi dice di prendere una decisione perché altrimenti sarà il tempo a decidere per me.
Mi sono resa conto di tante cose in questi sei anni, ma gli ultimi mesi sono stati fondamentali. Hanno segnato un prima e un dopo. Qualcosa è scattato come una scintilla.
L’idea di un matrimonio per me è sempre stata lontana. Non ci ho mai riflettutto attentamente, non l’ho mai desiderato come punto di arrivo e non l’ho mai idealizzato, complici sicuramente l’idea di famiglia e di matrimonio che ho avuto, ma anche la grande difficoltà che ho nell’accettare un amore e una felicità.
A inizio anno, trascorrendo più tempo con questa persona, mi sentivo bene nel ruolo di donna di casa e di moglie. Riuscivo a vedermi sposata e il matrimonio è apparso per la prima volta come un’ipotesi reale: ma sì, facciamolo!
Poi un clic nella testa: perché adesso sì e prima no? Cos’è cambiato? Perché ti vedi realizzata soltanto nel ruolo di moglie? Non è che, forse, ti manca altro che pensi di compensare con un matrimonio che rassicuri tutti (perché almeno ti sei sistemata e esci dal nucleo familiare)? Ti sposi per te o per gli altri? Perché hai la sensazione che il tuo mondo ruoti attorno a lui? Chi sei senza di lui? Se lui un giorno non dovesse esserci più, che cosa hai realizzato di soltanto tuo?
Quando questi pensieri sono apparsi nella mia testa, ho sentito subito un forte senso di colpa perché ero sbagliata: sbagliata ai suoi occhi perché per lui non sarei mai stata abbastanza; sbagliata agli occhi della famiglia perché potrei decidere di non rispettare le tappe imposte. Che donna sei se non vuoi sposarti, se non vuoi figli, se non pensi a lui come il centro del tuo mondo a cui essere riverente sempre?
Mi sentivo sola perché di queste cose è difficile parlarne. Il giudizio è sempre lì, dietro l’angolo, e, sinceramente, non mi va di sentire delegittimati i miei pensieri.
Poi è arrivata lei, Tamara Tenenbaum, con La fine dell’amore. Amare e scopare nel XXI secolo (Fandango Libri, 2022), un libro tra il memoir e il saggio divulgativo che ha come tema la decostruzione dell’amore romantico ma anche della famiglia tradizionale, partendo dalla sua esperienza personale.

Tamara Tenenbaum (1989) è una giornalista argentina, insegnante di Filosofia, cresciuta in una comunità ebraica ortodossa a Buenos Aires, dove ha vissuto fino ai 23 anni. Tenenbaum specifica sin da subito il suo punto di vista, quello di una donna bianca, eterosessuale, figlia di una famiglia monoparentale, appartenente alla classe media urbana argentina.
All’interno di La fine dell’amore, Tenenbaum affronta, capitolo per capitolo, i grandi temi che caratterizzano i legami eterosessuali, le dinamiche di potere, la cultura dello stupro e del consenso, il mito della bellezza, la maternità, la libertà e l’educazione sessuale.
Si parla di relazioni e di amore come impegno, come mercato del desiderio, ma anche come un privilegio perché sì, è un privilegio poter investire nella coppia.
Tenenbaum propone di uscire dalla logica individuale e di adottare un nuovo paradigma, l’amicizia; costruire legami seri ma flessibili; adottare uno sguardo decostruttivo che analizzi il sistema e che tolga il peso della responsabilità individuale.
La fine dell’amore è un libro ricco, completo, arricchente, fondamentale per sentirsi finalmente riconosciute. Per accettare che possiamo essere tante cose e che possiamo sentirci libere di non aderire a nessun ideale, vivendo comunque appieno l’amore .
**Libri citati in La fine dell’amore e che leggerò**
- Perché l’amore fa soffrire, di Eva Illouz
- Intimità fredde: le emozioni nella società dei consumi, di Eva Illouz
- Quando tutte le donne del mondo…, di Simone de Beauvoir
- Il mito della monogamia. Animali e uomini (in)fedeli, di David P. Barash e Judith Eve Lipton
- Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, di Silvia Federici
- King Kong Theory, di Virginie Despentes
- Il mito della bellezza, di Naomi Wolf