Questa foto è stata scattata il 22 ottobre 2012, non mi ricordo da chi. Ero in biblioteca a Colle e stavo -a quanto pare ma ci credo poco- studiando filosofia con qualcuno. Mi coloravo i capelli di rosso perché volevo fare la trasgry…con i capelli rossi. Che ridicola! Ma a me piacevano tantissimo. Non sapevo bene che cosa avessi voluto fare da grande e oggi, che sono già grande, la situazione non è cambiata. Continuo a fare liste, a vedermi per un attimo in un posto per cambiare idea un secondo dopo. Metto un progetto nel cassetto e poi me ne dimentico. Mi appunto una cosa in giro che finisce chissà dove. Potrei provare a fare questo; forse ho sbagliato a non fare quest’altro. E rimango impantanata. Non è cambiato niente. Solo, ogni tanto, mi coloro i capelli.
Quando mamma e babbo si sono separati e noi tre abbiamo cambiato casa, una delle prime cose che mamma ha deciso di fare è stata quella di prendere un cane. È andata al canile con Sara e ha scelto subito Yorkie, uno Yorkshire molto puzzolente ma anche tanto affettuoso. Era novembre 2013. Mamma e Sara sono venute a prendermi in macchina alla fermata del bus e nei seggiolini di dietro, accanto a Sara, c’era un musino pelosetto e simpatico. La storia racconta che Yorkie fosse nato a Santo Domingo e che la sua padrona, finita in carcere qui in Italia, lo avesse lasciato al canile. Yorkie non era il suo vero nome, ma siccome era uno Yorkshire al canile lo hanno chiamato così. Noi lo abbiamo preso in affidamento e quando la padrona originaria lo ha chiesto indietro, a noi ha pianto il cuore. Ma se sono qui a raccontare questa storia, significa che Yorkie è poi rimasto con noi. Quando aveva fame, Yorkie saltava sempre. Giocava con Leo. Sotterrava gli ossi in giardino. Adesso la sua medaglietta è attaccata vicino alla porta e a volte, col vento, fa quel rumorino di quando Yorkie si avvicinava e si sdraiava sul tappetino all’ingresso.
Cose che ho imparato leggendo Sex work is work, di Giulia Zollino, edito Eris Edizioni:
Sex work is work, di Giulia Zollino, edito Eris Edizioni
il termine sex work nasce negli anni ’70 a San Francisco
per lavoro sessuale si intendono tutte quelle attività che prevedono un accordo commerciale tra due o più parti, con cui si definisce una retribuzione economica in cambio di un servizio sessuale/erotico/romantico concordato
sotto il termine sex work rientrano il lavoro indoor offline, quello outdoor, la pornografia, la vendita di intimo usato, cam
è un lavoro, quindi devono esser garantiti diritti umani e lavorativi
esistono diverse visioni sul lavoro sessuale: abolizionista (il lavoro sessuale comporta l’oggettivazione delle donne), femminista sex radical (il lavoro sessuale come emancipazione), transfemminista (il lavoro sessuale è un lavoro)
c’è una maggioranza di sex worker donne, soprattutto a causa delle difficoltà di accesso a posizioni lavorative importanti o alla stereotipata predisposizione delle donne al lavoro di cura
chi fa sex work non è necessariamente una vittima
l’acquisto di un servizio sessuale non coincide con l’accesso illimitato e incondizionato alla o al sex worker
le persone che comprano sono soprattutto uomini bianchi, cis, etero
le Unità di strada forniscono supporto alle persone che fanno sex work
nel 2003, la Nuova Zelanda, adottando il modello della decriminalizzazione, ha riconosciuto il lavoro sessuale come un lavoro qualsiasi
in Italia, la prostituzione è legale ma non riconosciuta come lavoro
sempre in Italia è in vigore la legge Merlin, del 1958
lo stigma della puttana è irreversibile: se nella vita hai fatto sex work sarai sempre una puttana
c’è una gerarchia –whorearchy– tra coloro che svolgono lavoro sessuale.
📚 Titoli citati nel libro e che adesso vorrei leggere: – Quanto vuoi? Clienti e prostitute si raccontano e Ritratto a tinte forti, di Carla Corso e Sandra Landi – Uomini di piacere… e donne che li comprano, di Roberta Tatafiore – Trans-migrazioni, di Emanuela Abbatecola
Cose che ho imparato leggendo Cose. Spiegate bene, progetto editoriale de il Post con la casa editrice Iperborea. Nel primo numero si parla di libri e di editoria.
Cose. Spiegate bene, il Post con Iperborea
le cartiere di Fabriano nascono nel 1264
la carta si vende a peso
Sellerio e Adelphi sono due delle case editrici più attente alla qualità della carta
nell’editoria ci lavora un botto di gente con tante mansioni diverse
Minimum fax era una rivista che arrivava via fax, da un’idea di Marco Cassini
il font utilizzato in quasi tutti i libri italiani è il Simoncini Garamond – Adelphi utilizza il Baskerville
la lavorazione di un libro dura dai quattro ai sei mesi, dalla fase di acquisizione a quella della distribuzione
soltanto in Italia se dico giallo intendo poliziesco, perché nel 1929 la Mondadori pubblicò una collana di libri polizieschi tutti con la copertina gialla
Sellerio nasce nel 1969 dal progetto e dalla linea editoriale di Enzo ed Elvira Sellerio (con Adelphi, Sellerio è il primo editore indipendente italiano)
le classifiche dei libri si riferiscono alle vendite della settimana terminata il fine settimana precedente e si basano su un campione composto da librerie indipendenti e da librerie di catena
Isbn, international standard book number, nasce nel 1965 dallo statista Gordon Foster (978 significa che si tratta di un libro)
il ladro di libri più famoso è William Jacques: rubò i Principia mathematica di Newton, il Sidereus Nuncius e i Dialoghi di Galileo
un giorno vorrei aprire una libreria.
📚 Titoli citati nel libro e che adesso vorrei leggere: Una storia della lettura, di Alberto Manguel Yoga, di Emmanuel Carrère Il tempo è un bastardo, di Jennifer Egan Il buio oltre la siepe, di Harper Lee Revolutionary Road, di Richard Yates Finestre sull’altrove, di Matteo Pericoli Mare di Zucchero, di Mario Desiati Colloquio con Giulio Einaudi, di Severino Cesari Prima di noi, di Giorgio Fontana Il vestito dei libri, di Jhumpa Lahiri
Cose che ho imparato leggendo Signorina, di Chiara Sfregola, edito Fandango:
in Italia, il matrimonio riparatore (secondo il quale lo stupratore, decidendo di sposare la vittima, non era più ritenuto colpevole), è esistito fino al 1981
dati Unicef alla mano, le spose bambine sono 12 milioni l’anno
la figura della casalinga nasce nell’Ottocento con la società borghese
il carico mentale delle donne all’interno delle mura domestiche, sommato al carico lavorativo e anche emotivo
meno male che in Italia dal 1970 c’è il divorzio
in Italia, tre volte su quattro è la donna a chiedere la separazione
sposarsi è un privilegio
dall’11 maggio 2016 le unioni civili sono legge
fino al 1874, le donne non potevano accedere a licei e università
per una donna, l’unico modo socialmente accettato di avere una relazione sessuale era solo il matrimonio
il delitto d’onore in vigore fino al 1981
la(!) clitoride è stata scoperta nel 1500 da uno scienziato italiano
Cose che ho imparato leggendo Donne tutte puttane, scritto da Lucia Bainotti e Silvia Semenzin, edito Durango.
Donne tutte puttane, Lucia Bainotti e Silvia Semenzin, Durango Edizioni
è importantissimo analizzare le ragioni per cui gli uomini (non tutti) decidano di scambiare materiale intimo
come dice il mio professore di sociologia, le piattaforme digitali non sono neutrali, bensì la loro struttura riflette alcuni dei valori di una società, che spesso rinforzano stereotipi e discriminazioni (nel libro si parla di gender affordances, perché possono essere usate in maniera diversa a seconda del genere dell’utente)
il doppio standard: due pesi e due misure per giudicare i comportamenti maschili e quelli femminili, soprattutto quelli che riguardano la sfera della sessualità
il concetto di cultura dello stupro, che descrive un contesto culturale in cui lo stupro e altre forme di violenza sono accettate e normalizzate, con annessa colpevolizzazione della vittima
perché il termine revenge pornnon è corretto: parlare di vendetta presuppone che la vittima abbia commesso un atto che comporti una punizione e, inoltre, non siamo di fronte a materiale pornografico, ma a materiale condiviso in modo non consensuale (nel libro si parla infatti di condivisione non consensuale di materiale intimo)
quanto -quanto!- sia importante fare educazione sessuale nelle scuole
Sono tredici giorni che Sara, mia sorella, imposta la sveglia alle 8.25. Fa sport in camera, con il tappetino e i pesi che avevo comprato io ai tempi d’oro in cui andavo in palestra e volevo fare esercizi anche a casa. Certo, come no!
Insomma, Sara si allena, suda e salta come una pazza. Poi fa colazione e si mette a studiare. “Ambra cazzo ma fai qualcosa! Alza il culo!”, mi ha detto una volta. O forse erano due. Fatto sta che ieri mattina mi sono alzata davvero. Sono uscita in giardino e ho iniziato a camminare su un tapis roulant non elettrico, con una leggera pendenza e duro come la sfida contro il coronavirus. Dopo quindici minuti di camminata avevo il cuore in gola e il latte e caffè che faceva capolino anche dalle orecchie. Sono scesa dal tapis con gli svarioni. Mi sono distesa sul letto. “Gente vado in bagno. Potrei anche vomitare ma non vi preoccupate!” Falso allarme: latte e caffè sono rimasti al loro posto.
Stamani ho riprovato. Sveglia alle 8.23. Mi metto la tutina, esco in giardino e salgo sul tapis. Sette minuti e il nastro si inceppa. I vicini mi guardano dalla finestra. Ma perché mai questa si deve allenare con un tapis roulant tarocco?! “Mamma il tapis non funziona più!”
Ma ormai ero calda. VOLEVO FARE SPORT! Chiamo Sara (che nel frattempo aveva già finito due circuiti). “Allenami! Sono calda. Fammi fare qualcosa!” “Comincia con questo.” Mi stendo a terra ma mi fanno male la schiena e il culo.
Allora faccio colazione (che non avevo ancora fatto per paura di ripetere l’avventura di ieri col latte e caffè), finisco la terza stagione di Bojackamoremiocarissimofaccioiltifoperte e penso che mi annoio.
In tredici giorni il mio umore tocca il picco più alto quando vado a buttare la spazzatura, alle 18.10. Prima c’è il bollettino della Protezione Civile. Sentiamo il numero dei morti e dei nuovi contagiati. Sospiriamo, Sara e io, e poi usciamo a buttare la spazzatura, che mamma ci lascia, proprio come un favore che fa a noi.
E arriviamo a ora, in questo momento in cui sto scrivendo. Mi sono detta che la quarantena si vive una volta sola, come il matrimonio. Tanto vale trasformarla in qualcosa di carino. “Scriverò il diario di bordo!”
Dato che sono già indietro di 13 giorni (come passa il tempo quando ci si diverte), ecco l’elenco di quello che ho fatto e che probabilmente rifarò dato che la fine è lontanissima:
Dipinto Chicken Little in tenuta da giocatore di baseball che attende di ricevere una palla. Ha la faccia cazzutissima. E’ diventato ridicolo perché ho ripassato col pennarellino nero i pantaloncini e gli ho lasciato fuori dal pantalone la zampa. Quindi ha una zampa staccata dal corpo.
Vagamente pensato di comprare un nuovo tapis roulant.
Domani è domenica e sul quarantine plan di Sara c’è scritto grosso come una casa: CHE CAZZO MI PARE.
Quindi per domani si aprono diversi scenari. Abbiamo altri personaggi cazzuti da dipingere, poi faremo un dolce e probabilmente inizieremo a parlare al contrario. Una sorella fa comodo in certi casi.
Giorno x+infinito: farsene una ragione
Giorno diciannove. O venti. Ormai inizio a perdere il conto.
Questo è il terzo fine settimana che passo da sola a casa. Di solito i fine settimana mi trasferisco in un’altra casa, dove ci sono un divano giallo e due barattoli per la pasta, e delle foto carine attaccate al frigorifero con una calamita.
Il sabato e la domenica sono i due giorni più difficili della settimana. Dal lunedì al venerdì, le lezioni all’università e lo studio mi tengono impegnata. In quei giorni ho uno scopo. Una scaletta da seguire. Ché se perdi un pezzo rimani indietro, anche se sei davanti ad un pc in pigiama e in pantofole.
Quando a febbraio sentivo gli studenti di altre parti di Italia costretti in casa a frequentare le lezioni online e ad affrontare esami su skype pensavo: “Poracci! Tanto a noi non toccherà mai!” E invece no. Povera ingenua. Non avevo capito niente. E anche ora stento a farmene una ragione e a pensare razionalmente a quello che sta succedendo.
Purtroppo sono una di quelle persone che nasconde la testa sotto la sabbia quando c’è un problema da affrontare. Poi mi tocca anche tirarla fuori eh, ma di solito c’è qualcuno che mi dice: “Ma che cazzo fai? Non puoi far finta di niente. Questo è un problema da affrontare. La realtà è questa. Fattene una ragione!”
Così dal 5 marzo abbiamo cominciato anche noi con le lezioni a distanza. La prima settimana è stato quasi divertente, col maglioncino carino sopra e i pantaloni del pigiama sotto. Col gatto che annusa la webcam appena ti allontani e si mostra in mondovisione.
Venerdì scorso un mio professore ha iniziato la registrazione dicendo: “Oggi è il 20 marzo. Domani è il primo giorno di primavera e noi siamo sempre qua.” E il nostro professore ha questo bruttissimo vizio di ricordarci di come sarebbe stato se fossimo stati in classe. (Continuo a dire classe ma dovrei dire aula. Faccio l’università ma sono sempre alle elementari) “Sicuramente, se fossimo stati in aula qualcuno avrebbe alzato la mano e ne avremmo discusso.”
Invece no, prof. Siamo qui davanti a uno schermo e chissà quando potremo di nuovo lamentarci delle vie di Pantaneto che puzzano di ragù alle 8.30. O degli adolescenti che si ammassano come bufali negli ultimi posti del bus.
Inizia a non essere più tanto divertente.
Sono particolarmente sensibile in questo periodo. Quando in tv passano dei filmati (ormai catalogabili come di un’altra epoca) in cui le persone possono abbracciarsi, a me prende il magone.
Non so come il resto del mondo stia affrontando tutto questo. Sicuramente stiamo vivendo un momento epocale che verrà raccontato nei libri di storia dei prossimi anni. Il nostro stile di vita è cambiato. La nostra concezione degli altri e del mondo è cambiata. Chissà come sarà quando riprenderemo ad uscire. Chissà se riusciremo ad avvicinarci al prossimo come facevamo fino a venti giorni fa. Adesso siamo tutti nemici di tutti.
Oggi mamma, Sara ed io abbiamo fatto cinquanta bomboloni e abbiamo deciso di darne un po’ a due nostre vicine di casa che in questo momento affrontano le giornate da sole. Le abbiamo chiamate al telefono prima, per dire che avevamo fatto i bomboloni alla crema, alla marmellata e alla nutella.
Sono scesa in strada con un piatto che profumava di dolci. “Che facciamo? Li lasci lì al cancello? Oppure puoi lasciarli sulla finestra e li prendo dopo, così non ci avviciniamo troppo.” Nessun contatto. Solo un come va? e l’ennesimo grazie urlato quando entrambe eravamo già nel nostro rispettivo cancello. Nel nostro perimetro. Al sicuro.
Giorno 14 e denti che non stanno al loro posto
Mi ricordo ancora di quando alle medie tenevo un diario in cui appuntavo tutto quello che succedeva nella giornata. Come un flusso di coscienza adolescenziale scrivevo dei miei amori non corrisposti, delle canzoni bruttissime che ascoltavo, dei miei genitori che discutevano. Era una valvola di sfogo e mi tenevo compagnia così. Anche perché abitavo a Monteguidi e ormai anche i muri sanno che Monteguidi non è che pulluli di socialità.
In questi giorni sembra di esser tornata a quelle estati, quando non c’era quasi niente da fare se non giocare a pallone in piazza e distruggere i fiori della chiesa. Ma non lo facevamo di proposito. Volevamo solo giocare e tenerci compagnia.
Stanotte ho avuto un incubo. Anzi due.
Nel primo ero in quarantena (i casi della vita). Mi cadevano i denti e anche le gengive. Quando mi sono svegliata mi sono chiesta come facciano le gengive a cadere: è possibile? Non riuscivo a tenere la bocca chiusa perché i denti mi uscivano dalle labbra. Non potevo andare dal dentista perché tutti i dentisti di Italia erano chiusi. Piangevo ma nessuno sembrava ascoltarmi. Non ho idea di come abbia risolto perché poi mi sono lanciata nel secondo incubo.
Ero sul bus che mi porta all’università. Eravamo tutta la mia famiglia, sia da parte di mamma che da parte di babbo. Tutto regolare, se non che avevo come zio Claudio Lippi. E avevo anche dei ricordi d’infanzia legati a lui perché nel sogno io pensavo a quando ero piccina e giocavo con zio Claudio. Bah. C’era anche un pastore tedesco a cui ho voluto tanto bene.
Ieri sera mi sono addormentata col primo piantino della quarantena. Mi sembrava strano che riuscissi a tenere botta per così tanto tempo e così bene. Dovrò farci l’abitudine. Perché non sarà sempre semplice. Sono le 17.20 e credo che per oggi non dipingeremo nessun personaggio coraggioso.
Giorno 1 bis
Mai avrei pensato che sarei tornata a scrivere qui con lo stesso motivo per cui ho iniziato quasi un anno fa.
Quarantena, pandemia, noia, sconforto.
Ma che bello! Siamo di nuovo qua. A costruire un calendario su un foglio a quadretti. A dividere il mese in settimane e le settimane in giorni e i giorni in ore. Occuparle in qualsiasi modo, con una legenda di ottantotto colori diversi: studiare, leggere, imparare cose, scrivere altre cose, pulire Leo con lo shampoo al mirtillo, perdersi nelle fisime, brivido d’ansia e si ricomincia.
Io non ci capisco più niente. Non capisco quando si può uscire, quando posso vedere altre persone. Cosa posso fare e che cosa no.
Comunque da oggi, giorno 1 di una specie di quarantena non si sa se per troppo buon senso o per ipocondria o perché non ho comunque motivazioni per uscire di casa, sto chiusa in casa, con mamma che lavora in reparto covid.
Dopo un anno, quando abbiano iniziato a sperare e pensare che il problema stesse rientrando, ecco la batosta. E allora, sempre dopo un anno di attese e di stomaco che si stringe, di dai poi passa, dai che andrà meglio, dai che siamo alla fine, eccoci a stringere i denti un’altra volta.
Lo so che siamo comunque in una condizione privilegiata. Lo so che c’è di peggio: lo so bene. Ma un po’ mi comincia a rodere il culo sinceramente. E sembra che, siccome sei in una condizione privilegiata, non puoi permetterti di fare pio perché eh no te proprio non puoi dirlo, guarda come state bene. e che vi manca scusa?
Allora, ieri è iniziato questo nuovo gioco che si chiama NON TI AVVICINARE A MAMMA NON SI SA MAI. Io mamma l’ho sempre abbracciata poco, ma ora mi scoccia non stringerla. Lei dice sempre, quando mi vuole abbracciare, che le servono gli ormoni e io ci rido quando me lo dice. Come se io le passassi pacchettini di ormoni che la fanno essere felice.
Ieri sera ho scritto il nome sulle posate. Ho spostato le mie cose in camera di Sara perché c’è la televisione. Ho preso i libri che voglio leggere, i quaderni per seguire le lezioni perché da martedì si ricomincia e quasi sono contenta, anche se i miei due anni di magistrale si sono svolti in camerona e con le pantofole ai piedi.
Non capisco se sono esagerata, se sono pazza. Non lo so. Ho paura e anche ammettere di avere paura sembra da pazzi. Ma di che hai paura? Hai vent’anni! (27 a settembre NOTA BENE!)
Però io ho paura. Mi sento come quando eravamo a marzo 2020, quando ho addirittura colorato un Chicken Little e stavo a sedere sugli scalini al sole a pensare pensare pensare.
Stavolta forse mi dedicherò alla ceramica. O a riordinare i bottoni e i calzini spaiati.
E pensare che mi sono sempre vista come la persona più asociale del pianeta, a cui fa schifo la gente. Ora tutta quella gente mi manca. Voglio tornare anche in discoteca non me ne frega niente se sono in ritardo con la tabella dell’età. Voglio fare tutte le cose che non ho fatto da piccina perché volevo starmene da sola, finta timidina e rincoglionita.
Nelle mie ore di libertà penserò alle cose che vorrò fare finito ‘sto delirio. Metterò anche questa attività nel mio calendario che comincia oggi.
Sono due mesi che è iniziato il mio tirocinio nella Biblioteca Comunale del mio paese, Casole d’Elsa. Allora ho pensato: quale miglior modo di festeggiare, se non dedicandole un post sul blog?
Quindi, eccovi serviti e servite!
Bibliotour: la Biblioteca Comunale di Casole d’Elsa
La Biblioteca Comunale di Casole d’Elsa è stata inaugurata durante gli anni ’80 e dal 2008 si trova in Via Casolani 48.
Attualmente dispone di circa 14mila volumi ed è specializzata soprattutto nella narrativa moderna e contemporanea, per bambin* e per adulti.
Mensilmente, Linda, che si occupa della biblioteca e dell’ufficio turistico ma anche di tremila altre cose con grande solerzia e cura, aggiorna i lettori e le lettrici sui nuovi arrivi tramite una newsletter, alla quale è possibile iscriversi inviando una mail a biblioteca@casole.it.
Questo mese, in vista dell’estate, la newsletter contiene anche una carrellata di libri per bambin* e ragazz*, tutti molto belli che ho cominciato a leggere anche io (nella lista ci sono anche L’incredibile avventura dei 10 calzini fuggiti, di Justyna Bednarek, edito Salani, ma anche Allora non scrivo più, di Annalisa Strada, edito Piemme).
All’interno del catalogo della narrativa per bambini, sono disponibili anche molti titoli ad alta leggibilità, come quelli editi Sinnos e Bianconero, adatti a coloro che hanno disturbi dell’apprendimento legati appunto alla lettura, e libri in CAA, (Comunicazione Aumentativa Alternativa).
Sezione bambini e ragazzi, Biblioteca comunale di Casole d’Elsa
Chiaramente, la biblioteca si presta bene a chi -come me- preferisce leggere in cartaceo, ma grazie al servizio di prestito digitale MediaLibraryOnline a cui la biblioteca aderisce, le possibilità di lettura diventano quasi infinite.
Ma non è finita qui!
In biblioteca c’è anche l’Archivio della memoria, un intero piano dedicato alla conservazione del patrimonio storico del territorio, con libri, riviste e materiale audiovisivo.
Durante il periodo di chiusura al pubblico, la biblioteca ha comunque tenuto compagnia ai lettori e alle lettrici, organizzando delle letture in diretta Facebook raccontando storie di persone legate a Casole.
Ecco, adesso non avete più scuse per non prendere in prestito un libro. Vi lascio i contatti qui sotto. Scrivete, chiamate, mandate un piccione viaggiatore. Non siate timid*, suvvia!
Mesi fa ho approfittato degli sconti della casa editrice Bao Publishing per iniziare a leggere qualche graphic novel.
Qui ne ho raccolte quattro, in modo tale che possiate trovare qualche spunto anche voi per lanciarvi in questo mondo a volte sottovalutato ma che riserva tante sorprese.