I libri che raccontano di famiglie mi fanno sempre un male atroce, e questo, “L’Arminuta“ di Donatella Di Pietrantonio, ha fatto più male di altri.
Nell’arco di una settimana ho voluto – e dovuto – leggerlo due volte, per poi continuare a sfogliarlo alla fine di entrambe le letture. La prima lettura è volata via in poche ore tanta era la voglia di sapere, di capire, di farmi del male. La seconda, invece, è stata più lenta, ed è servita a cogliere alcuni dettagli che alla prima lettura mi erano sfuggiti.

Donatella Di Pietrantonio, Einaudi (2017)
“L’Arminuta” è la storia di una bambina di cui non conosceremo mai il vero nome. Per noi e per le persone che le gravitano attorno sarà soltanto l’Arminuta: la ritornata.
Ritornata da dove?
Tutto comincia nell’agosto del 1975 quando la protagonista ha 13 anni. Fino a quel momento, la bambina ha vissuto in quella che credeva essere la sua vera famiglia, ma durante quella torrida estate viene restituita alla famiglia di origine, sangue del suo sangue. Ed è proprio là che fa ritorno.
La storia è raccontata in prima persona dalla protagonista, che, ormai adulta, ripercorre con un lungo flashback quel periodo preciso della sua infanzia. Un periodo in cui ha subìto violenze ed ha vissuto nella menzogna, ma ha anche imparato a voler bene e a riceverne altrettanto indietro.
Oltre al tema degli affetti familiari, soprattutto il legame con la doppia figura della madre, è fortissimo anche quello della sorellanza. Infatti, non appena l’Arminuta ritorna, scopre di avere una sorella, Adriana, ma anche altri fratelli, tra cui Giuseppe, il più piccolo, e Vincenzo, il fratello maggiore, il personaggio che mi è entrato nel cuore.
Quando comincia la storia, Adriana ha 10 anni, tre anni in meno della sorella.
Pur provenendo da due mondi opposti – l’Arminuta è comunque cresciuta in una famiglia borghese, mentre Adriana ha vissuto da sempre nella povertà – le due si completano, e grazie a questa complicità riescono ad affrontare la violenza e a crescere.
Adriana protegge la sorella, comportandosi da sorella maggiore. Ha riconosciuto nell’Arminuta un’intelligenza e una particolarità che non appartengono a quel mondo di povertà e di abusi, e che quindi vanno tutelate.
“Non mi sono mai spiegata il gesto di una bambina di dieci anni che le buscava ogni giorno, ma voleva salvare il privilegio di cui godevo io, la sorella intoccabile tornata da poco.”
L’altra importante figura nella vita dell’Arminuta è sicuramente Vincenzo.
Vincenzo non si arrende alle violenze del padre. Fugge spesso, trascorrendo le notti fuori casa, senza che nessuno si preoccupi di lui. Pur avendo subito soprusi per anni, Vincenzo mantiene una sensibilità e un senso del dovere nei confronti della famiglia, con l’obiettivo di dimostrare al capofamiglia di essere migliore, anche migliore del padre stesso.
Arrivando nella nuova famiglia, l’Arminuta deve imparare dei nuovi termini: un nuovo lessico famigliare, come direbbe Natalia Ginzburg. Riconoscersi nel nuovo reticolo, ma soprattutto riconoscere Vincenzo, il fratello maggiore che non credeva di avere:
“Non eravamo abituati a essere fratelli e non ci credevamo fino in fondo.”
Dal momento in cui fa ritorno, la bambina vive nell’omertà: tutti sanno il motivo per cui è stata restituita, ma tacciono. Tutti sanno, tranne lei.
Così si colpevolizza. Si chiede quale colpa abbia commesso. Perché non vengono a riprenderla?
Col passare del tempo, il personaggio dell’Arminuta acquisisce sempre più consapevolezza, si incattivisce. La conosciamo che è una bambina illusa, indifesa e speranzosa, ma nel corso della storia diventa spigolosa e coraggiosa, capace di affrontare più volte la vera madre.
Non solo.
La consapevolezza che acquisisce le permette anche di scegliere a quale mondo appartenere e in quale sinceramente riconoscersi, in un universo fatto di due madri, una più ingombrante dell’altra: la prima a causa della sua presenza rumorosa, la seconda per la sua assenza improvvisa e ingiustificata.
“Non l’ho mai chiamata, per anni. Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori.”
La scrittura di Di Pietrantonio è fatta di immagini e di dettagli. Mi ha trasmesso una certa claustrofobia, quasi un soffocamento: mi mancava l’aria tanto quanto è mancata all’Arminuta in quella nuova casa.
Se vi è piaciuta la saga de L’amica geniale di Elena Ferrante, sicuramente L’Arminuta può fare al caso vostro.