A maggio ho letto La Società dei Makers di David Gauntlett, un sociologo e teorico dei media che da anni si occupa dei cosiddetti makers, i creatori. Ma chi sono in realtà?

I makers sono tutti coloro che decidono di dedicarsi con passione e costanza alla creazione di un qualcosa, o partendo da zero, o ricucendo insieme dei pezzi. I makers sono tutti coloro che preferiscono il fai da te, l’arte del recupero e del riciclo, all’acquisto asettico e fine a se stesso.
Durante la lettura mi sono domandata se anche io conoscessi un maker. Risposta: sì!
Zio Davide è il maker della famiglia. Se Dario ha bisogno di una libreria, zio prende il metro e la costruisce. Se nonno ha bisogno di un leggio, zio vede e provvede (era anche bellino! se puoi farlo anche a me zio grazie mille!).
In un anno e mezzo, zio ha recuperato e reso funzionante una Renault R4 del 1992 e per questo è l’esempio perfetto del maker.
Ma il motivo per cui voglio raccontare questa storia è anche un altro.
Un po’, mi sento in debito con zio.
In ogni famiglia c’è quella persona che si occupa di lasciare traccia di ciò che succede. Che scatta fotografie e che decide di premere REC nonostante i “non mi riprendere non sono pettinato!”
Che alimenta l’archivio di famiglia da cui pescare quando si è a corto di ricordi.
Nella mia famiglia quella persona è sempre stato zio Davide. Negli anni ha registrato vacanze al mare, pranzi di famiglia, Natale e Pasqua.
Per questi due motivi ho deciso di prendere per una volta il suo posto e di raccontare, provando a rendergli il favore.
Nell’estate del 2018, durante una cena con degli amici, zio è incappato per pura casualità in una R4 parcheggiata poco distante da lì, da anni in disuso. Nonostante fosse malconcia, qualcosa è scattato e dopo i dovuti accertamenti tecnici e il passaggio di proprietà, l’R4 è tornata a Monteguidi con zio, (ovviamente sul carro attrezzi).

“Il primo step è stato portarla in officina a San Gimignano, per capire se le componenti meccaniche fossero usurate oppure no. Purtroppo il blocco motore era danneggiato, quindi ne ho acquistato uno nuovo.”
Dopo essersi assicurato che il motore fosse funzionante, l’opera di restauro ha finalmente preso il via.
“Per prima cosa mi sono concentrato sulla carrozzeria, soprattutto su quei pezzi che avevano bisogno di una riparazione immediata. Con fantasia e adoprando dei materiali che già avevo, ho sistemato i pianali e eliminato la ruggine. Ho acquistato delle leve tirabolli che con un sistema di ventose hanno riportato la carrozzeria allo stato originale.”
“La macchina aveva subito un urto nella parte posteriore del paraurti e questo ha danneggiato il telaio. Allora ho fatto un buco e con un gancio traino ho collegato il Jimny alla R4 che era ferma col freno a mano tirato, così da aggiustare il paraurti.”
“Dopo aver sistemato i pianali – lato guida e lato passeggero – mi sono occupato di nuovo del motore e mi sono accorto che non era necessario che recuperassi obbligatoriamente la batteria originale della R4 – che è stretta e alta. Quindi, facendo tetris nel vano motore, ho creato uno spazio per una batteria più economica ma comunque adatta.”


“Altro step sistemare il cruscotto: prima l’ho lavato con uno sgrassatore e un diluente al nitro, poi ho dato l’aggrappante sulla plastica e aggiunto la vernice nera. Dopo aver ripulito il cruscotto sono passato all’impianto elettrico. Poi sono passato a tutti i dettagli della carrozzeria e dell’interno. Ho smontato i seggiolini, sistemato le guarnizioni, gli sportelli e le maniglie. Ho aggiustato anche i fari e i vetri.”


Finché non è arrivato il 25 giugno 2020, quando zio ha finalmente potuto dire: “Ho finito, posso partire!”
Il viaggio di inaugurazione della R4 è stato a luglio, direzione San Vincenzo. Zio, zia e una macchina ormai tirata a lucido e di un rosso accesissimo.

Poco dopo anche Sara ed io abbiamo avuto il piacere di fare un mini viaggio a bordo della mucca rossa. Sembrava di essere in un vecchio film: noi sedute dietro, col vento tra i capelli, salutando col fazzoletto bianco dal finestrino.
Durante questi due anni, zio ci ha più volte aggiornate su come procedesse il lavoro ed io ogni volta rimanevo sbalordita nel vedere quanto fosse bravo e, soprattutto, quanto fosse costante ed emotivamente legato alla R4.
Perché anche nonno ha avuto una R4. Rossa.

Ci tengo a sottolineare che tutto questo è stato scritto ascoltando più volte un audio di 45 minuti – in cui zio mi ha spiegato per ben due volte che cosa fosse un pianale (chissà se l’ho capito ora) – e con una pagina di wikipedia aperta per riconoscere le parti di un vano motore.
Insomma: c’ho provato.
Però, a prescindere dall’elenco delle accomodature, quello che mi premeva restituire è la soddisfazione nel vedere un qualcosa che da informe e anonimo si evolve in un qualcosa che ha un nuovo significato.
Come se zio, sistemando una semplice auto, tenesse aggrappato al presente un pezzo di passato che non c’era più ma che adesso riposa in garage, pronto a macinare tanti futuri chilometri.