Per chi mi conosce bene sa che sin da quando ero una bambina i libri hanno avuto sempre un ruolo fondamentale nella mia vita. Ricordo che quando abitavamo tutti nella casa a Monteguidi, nel corridoio che porta alle camere c’era un grande armadio bianco che conteneva un po’ di cianfrusaglie,
le camicie di babbo per andare a lavoro, la divisa bianca di mamma, e qualche libro, riassumibili in: una Bibbia, un’enciclopedia rossa in ventitré volumi, un libro illustrato sulle piante mediche e il diario di Galeazzo Ciano.
Tutto qui.
Adesso mi chiedo come io abbia potuto avvicinarmi alla lettura, dato che in casa avevo da leggere solo questo.
Per carità, l’enciclopedia era anche interessante, talmente interessante che ebbi la brillante idea di sottolineare con l’evidenziatore alcune parti.
Vi lascio immaginare la reazione dei miei genitori: felicissimi!
L’altro giorno, presa dai ricordi e dalle parole, ho ripercorso i miei anni da lettrice, partendo dall’infanzia.
Quando ero piccola nessuno in famiglia mi ha mai parlato di quanto fosse importante leggere, né ho avuto un modello da imitare. Ho iniziato a leggere e basta.
Dalle immagini delle vocali appese in aula (A come ape, E come elefante, I come imbuto, O come orologio, U come uva), per poi passare alle sillabe e alle parole, dall’età di sei anni ho sempre avuto un libro per le mani.
Ricordo una mattina in cui mamma avrebbe dovuto portarmi a scuola in macchina, ma io continuavo a leggere mentre con le mani cercavo di legarmi i lacci delle scarpe.
Fino all’età di quindici anni la lettura ha rappresentato un semplice intrattenimento. Romanzi, libri per ragazzi. Insomma, niente di così impegnativo.
Non sono stata una lettrice precoce che a undici/dodici anni leggeva i classici o cose simili.
Il mio approccio alla lettura è cambiato durante i primi anni di liceo. Il semplice intrattenimento non mi bastava più. Volevo altro.
Il primo libro che ricordo di aver letto con una mentalità diversa è stato L’eleganza del riccio, di Muriel Barbery.

Ricordo di averlo acquistato nella libreria del paese qui vicino e che mia mamma era felicissima di confessare al libraio di avere una figlia lettrice: “Sa, Ambra legge di tutto. Le piace proprio tanto!”
Paloma e Renee sono stati per tanto tempo i miei personaggi di riferimento: Paloma, una ragazzina di undici anni curiosa, saputella e sfacciata; e Renee, una donna che nasconde la propria cultura sotto le vesti di una portinaia antipatica e goffa.
Ancora oggi quando mangio una barretta di cioccolata mi viene in mente Renee che, dopo cena, ne mangiava una tavoletta intera leggendo alta letteratura.
In quegli anni ho sentito che qualcosa dentro di me cambiava dopo alcune letture e se ne accorgevano anche le persone intorno a me, in particolare un mio amico che mi disse:
“Tu cambi personalità in base ai libri che leggi!“
Non so bene che cosa intendessimo a quell’età con il termine personalità, ma lì per lì io gli dissi che non era vero.
Con gli anni mi è capitato di ripensare a quelle parole e devo dire che forse quel ragazzino ci aveva visto lungo.
Nel corso degli anni sono cresciuta come lettrice ed è cresciuto anche il mio approccio alla lettura.
Con più precisione, ho iniziato a cercare un qualcosa tra le pagine e quel qualcosa sono io:
nei libri, io ricerco me stessa.
Ve ne cito giusto tre: Perché essere felice quando puoi essere normale?, Jeanette Winterson (di cui ho scritto qui); Le piccole virtù, Natalia Ginzburg; Memoria di ragazza, Annie Ernaux.
Uno mi ha spinta a lottare e a continuare quando credevo di essere un caso perso. Uno mi ha ricordato l’importanza di ricordare. L’altro mi ha detto di scrivere.

Questi libri sono stati in grado di fare una cosa: leggermi.
Un libro che legge il lettore, come dice Massimo Recalcati (A libro aperto).
Perché la lettura di un libro rappresenta un dialogo e un incontro.
Un incontro che non necessariamente ci pone di fronte alla parte più zuccherata di noi, ma che è in grado di mettere in risalto anche le ombre che più ci ostacolano.
Uno per tutti: Il posto di Annie Ernaux, un libro capace di causarmi un male autentico.
Il rapporto tra un padre ed una figlia raccontato nel modo in cui avrei e sempre vorrò raccontare io.

Credo che la risposta più adatta alla domanda perché ti piace leggere? sia proprio questa:
mi piace leggere perché la lettura mi rende trasparente ai miei stessi occhi.
Grazie ad alcuni libri, io non mi nascondo più. I libri mi leggono e mi aiutano ad interpretarmi, rendendo la lettura una cosa intima e mia.
L’esperienza di lettura è solo e soltanto nostra.